Dune profumate di incenso
Hegra, Arabia Saudita. Articolo del 4 novembre 2009
All’alba il sole arriva leggero sulle rocce, sulla sabbia, sui frontespizi delle tombe nabatee e colora tutto di rosa, come la pelle di un bambino. Nell’aria si sente solo il canto del silenzio, anche lui rosa come la luce che lo circonda. Intorno c’è lo sterminato deserto d’Arabia.
La sabbia scricchiola sotto i piedi come la neve. Nulla turba i sensi dello spettatore. Solo un profumo leggero che viene dal passato, il profumo dell’incenso. Il profumo di Hegra, la perla del deserto. Le carovane di cammelli caracollanti che partivano dal «regno della Regina di Saba» per portare sulle sponde del Mediterraneo aromi preziosi e raffinati si fermavano qui, nel caravanserraglio, impregnando l’aria dei loro umori. Hanno continuato nei millenni, contaminando le rocce, l’aria, la sabbia. Creando un ambiente unico, dove le luci, i colori, la brezza sono leggeri come piume di colibrì, ma possono essere goduti fino in fondo. Hegra non è un sito archeologico come gli altri. I resti della grande civiltà nabatea, le 132 tombe monumentali, i canaloni, i pinnacoli rocciosi, le dune vaporose, i cieli di carta da zucchero, sono belli come quelli di Petra, la sua gemella giordana lungo la via dell’incenso, ma qui possono essere gustati in solitudine. Niente megagruppi di turisti caciaroni, niente asini e dromedari che portano verso la città antica «americanone» obese e giapponesi decrepiti, niente venditori di improbabili reperti archeologici, Coca Cola, Pepsi e coltelli. Niente tour operator di massa e cinesini «fotografotutto». Qui, in mezzo al deserto dell’Arabia Saudita, 200 chilometri sotto il confine giordano, arrivano solo viaggiatori veri. Innamorati autentici dell’archeologia, della storia, del deserto, della capacità che hanno le rocce ocra e le dolci dune sabbiose di dispensare emozioni sottili ai cinque sensi. |
Qui l’amante della natura o lo studioso possono camminare tra i resti superbi in quell’atmosfera magica che circondava Joachim Winckelmann e Wolfgang von Goethe nei loro romantici vagabondaggi tra i resti di Roma o tra le rovine di Ostia. La stessa pace, la stessa quiete, la stessa possibilità di bere ogni umore dell’ambiente, ogni segnale in arrivo dal passato, ogni vibrazione della terra.
Sono posti per chi ama vedere i giorni nascere e morire. Per chi ama vedere la luce vivere cambiando colore di ora in ora al paesaggio e modellando le ombre in modo diverso con il passare del giorno. Quando il sole si risveglia tutto è delicato e soffuso; le tombe, gli uomini e le rocce lanciano sulla sabbia ombre lunghe come denti di forchetta. A mezzogiorno la luce si fa di acciaio e di magnesio, i disegni dei corpi sul suolo si accorciano, le dune lontane diventano bianche. Verso sera, come d’incanto, arrivano nuove tinte, più calde, più piene. Rossa la sabbia, quasi marroni le rocce, indaco il cielo. E sempre, attorno, il silenzio; e sempre, nell’aria, il ricordo d’incenso e mirra; e sempre lo scricchiolio leggero della sabbia sotto i piedi. In questo mondo magico il passato rivive. è facile capire chi erano i ricchi mercanti, i nobili, i guerrieri che hanno tagliato le rocce del deserto per costruire i loro eterni sepolcri. Che hanno scolpito sulla pietra le aquile, simbolo dell’ascesa al cielo, le scale gemelle, indispensabili per arrampicarsi nell’azzurro del paradiso, i vasi, le losanghe, i timpani dall’aria decò. Nel silenzio è facile pensare alle file interminabili dei cammelli diretti verso nord per raggiungere le ricche case romane immobili in attesa del profumo esalato da piante baciate dai venti dell’oceano Indiano; è facile pensare agli agguati dei predoni, al piacere di rivedere il verde delle palme dopo centinaia di chilometri di dune. E mentre il pensiero corre lontano nel tempo e nello spazio, sotto i piedi, la sabbia continua a scricchiolare come neve fresca. |